Pazienti da tutta l’Isola per l’“Infusion team”

Nel reparto di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale di Lanusei si impiantano speciali cateteri che migliorano le terapie endovenose

Si chiama “Infusion team” e si può considerare una piccola eccellenza dell’ospedale di Lanusei. Un’équipe di professionisti composta da medici e infermieri del reparto di Anestesia e Rianimazione del N.S della Mercede, capace di posizionare nei pazienti che hanno bisogno di terapie endovenose (soprattutto chemioterapiche) dei cateteri speciali in grado di migliorare la qualità del trattamento. Il team dell’ospedale di Lanusei è uno dei pochi in Sardegna che attualmente effettua questo tipo di procedure.

«Abbiamo pazienti che arrivano da diverse parti dell’Isola – spiega Francesco Loddo, direttore della struttura complessa di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale di Lanusei – soprattutto da zone limitrofe all’Ogliastra, come ad esempio il Nuorese, il Sarrabus, il Goceano e anche la Planargia. Il numero delle procedure che abbiamo effettuato negli ultimi tre anni è andato progressivamente in crescendo – continua – dal 2020 al 2022 abbiamo eseguito oltre 200 impianti, mentre quest’anno siamo già a quota 40. Se il trend continua ad essere questo, chiuderemo il 2023 con oltre 120 procedure».

In particolare, il team del reparto di Anestesia e Rianimazione è specializzato nell’impianto del Port-a-cath e del Picc. Il Port-a-cath è un dispositivo composto da due parti: il catetere e il reservoir, una piccola camera di circa 3 cm di diametro. Il Port viene posizionato nel sottocute, in una sede appropriata del torace e richiede un piccolo intervento chirurgico della durata di circa 40-60 minuti: per questo la sua applicazione viene eseguita da due medici. La prima fase prevede l’incannulazione di una grossa vena centrale giugulare: il catetere viene fatto avanzare fin quando la punta non si trova in prossimità del cuore. La seconda fase riguarda l’impianto del reservoir: viene eseguita una piccola incisione in modo tale da creare una tasca sotto la cute, dove alloggiare il reservoir che viene poi connesso al catetere venoso.

Il Picc, invece, è un catetere che viene inserito nel sistema venoso centrale. Attraverso una puntura viene introdotto in una vena profonda del braccio e viene fatto avanzare finché la punta non si trova in una vena in prossimità del cuore. La procedura può essere effettuata da un infermiere o da un medico specializzato in accessi venosi.

«Port-a-cath e Picc consentono un collegamento sicuro, rapido, stabile e duraturo al sistema venoso, senza necessità di ricerca, ad ogni seduta chemioterapica, delle vene periferiche del braccio – osserva il dottor Loddo – incrementando così il comfort del paziente. Grazie a questi dispositivi si diminuisce fortemente la possibilità di danni alle vene, vista anche la potenziale lesività dei farmaci chemioterapici».

Lo svolgimento di queste due speciali procedure sarebbe però più difficile senza il coinvolgimento di tutti i camici bianchi del reparto: «Medici e infermieri impiantisti hanno un ruolo fondamentale – conclude Loddo – ma la collaborazione con il personale della nostra struttura è preziosissima affinché l’inserimento di questi dispositivi vada a buon fine».

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