Ricerca scientifica, promossi cinque studi dell’ospedale di Lanusei
I lavori realizzati dal reparto di Anestesia e Rianimazione verranno pubblicati nella rivista Jaacc della Siaarti, la più autorevole società italiana del settore.
La Siaarti (Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva) ha accettato cinque ricerche scientifiche realizzate dal reparto di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale di Lanusei. Gli studi saranno pubblicati nei prossimi mesi dalla rivista scientifica Jaacc (Journal of Anesthesia, Analgesia and Critical Care) e verranno presentati ad ottobre nel congresso “ICare 2023”, organizzato a Roma dalla stessa Siaarti. Al simposio sarà presente una delegazione del nosocomio ogliastrino che illustrerà le ricerche come “comunicazioni orali” durante il meeting.
Le cinque ricerche sono state portate avanti da un gruppo di lavoro composto da 12 professionisti, di cui 5 medici e 7 infermieri. «Questi studi spesso sono realizzati da équipe di soli medici – spiega Francesco Loddo, direttore della struttura complessa di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale di Lanusei – in questo caso abbiamo coinvolto anche gli infermieri e questo è un aspetto che è stato molto apprezzato da chi ha valutato i nostri lavori». Gli studi sono stati sviluppati nell’arco di circa un anno: si tratta di analisi dei dati, studi clinici e sperimentazioni. Ad unirli, c’è un minimo comune denominatore: «Tutti i lavori sono volti al miglioramento dell’assistenza anestesiologica e rianimatoria dei pazienti – continua Loddo – ed hanno già un’applicazione pratica all’interno della nostra unità operativa».
Le cinque ricerche abbracciano diverse branche del lavoro portato avanti all’interno dell’unità operativa di Anestesia e Rianimazione del nosocomio lanuseino. «Uno degli studi – spiegano Giacomo Olla, medico, Virginia Piroddi e Micaela Muceli entrambe infermiere – deriva dall’utilizzo, nella pratica clinica, di una variante tecnica della tracheotomia percutanea dilatativa che risulta dalla combinazione di due altre tecniche, con l’obiettivo di sfruttare i pregi di ognuna. I risultati sono stati positivi». Un’altra ricerca ha preso spunto
dall’eredità e dagli insegnamenti lasciati dal Covid. «Lo studio ha dimostrato come il mantenimento di alcune misure non eccessivamente restrittive, adottate durante la pandemia e mantenute congiuntamente anche in seguito (cosiddetti “bundles”) – sottolineano Anna Busia, coordinatrice infermieristica, Erica Lai e Simona Serdino, infermiere – abbiano contribuito a ridurre le infezioni all’interno del reparto di Terapia Intensiva». Un altro studio si è concentrato sul monitoraggio della flora batterica e la gestione delle infezioni. «Quando un paziente ricoverato in terapia intensiva ha un’infezione, la cosa più semplice, ma anche la più sbagliata, è quella di utilizzare subito l’antibiotico più costoso e più performante – evidenziano Alexandra Usai, medico, e Alessandra Orrù, infermiera – questo alla lunga potrebbe creare delle resistenze a questo tipo di antibiotici, lasciando i medici senza ulteriori armi a disposizione. Il nostro studio ha dimostrato come, in alcuni casi, utilizzare degli antibiotici meno potenti e più comuni, sia altrettanto efficace». «Questo consente di utilizzare il farmaco più performante come ultima ratio – precisa Francesco Loddo– ed ha come conseguenza anche un notevole risparmio per le casse del Sistema sanitario nazionale».
Due delle ricerche hanno preso spunto da casi clinici. «Pazienti affetti da apnee ostruttive nel sonno possono presentare, soprattutto nelle fasi immediatamente successive ad un intervento chirurgico effettuato in anestesia generale, dei problemi respiratori rilevanti – sottolinea Silvia Pilloni, anestesista – diagnosticare e quindi sapere che i pazienti hanno questo tipo di disturbi è fondamentale per mettere in atto dei trattamenti che possano ridurre la probabilità di complicanze». Infine, uno dei lavori è basato sulla positiva risoluzione del caso di un paziente che presentava delle piaghe da decubito di difficile guarigione «Abbiamo avuto – spiegano Antonello Paddeu, anestesista e Silvia Paba, infermiera – un paziente allettato da tantissimo tempo che proveniva da un lungo percorso in altre realtà sanitarie. Nel nostro reparto abbiamo affrontato il problema coinvolgendo diversi professionisti, tra cui un chirurgo plastico arrivato da un altro ospedale e i nostri colleghi sia chirurghi che ortopedici. Attraverso degli appositi apparecchi medicali (quali la Vac Therapy), siamo riusciti ad ottenere un’iniziale guarigione, completando poi l’opera con diversi interventi chirurgici che hanno contribuito alla guarigione definitiva».
L’importante lavoro di studio ha coinvolto un team di 12 persone, di cui 5 medici e 7 infermieri. Le ricerche sono state sviluppate in mini-gruppi di 2/3 persone. Per il buon esito dei lavori è stato fondamentale il confronto tra gruppi differenti: ogni studio, infatti, prima di essere portato all’attenzione della Siaarti è stato condiviso con tutti i componenti del team. I membri di ogni gruppo hanno preso in esame i lavori degli altri, suggerendo migliorie e modifiche da apportare. Questo processo ha portato ad un avanzamento della qualità di ogni singolo contributo. «Per la riuscita di questi studi è stato fondamentale il coinvolgimento di tutto il personale dell’Unità Operativa, anche di chi non ha partecipato in maniera diretta alle ricerche. Il loro apporto – conclude Loddo – è stato molto prezioso».
Studi e gruppi di lavoro:
Studio “Tracheo”: Giacomo Olla – Virginia Piroddi – Micaela Muceli
Studio “Osas”: Silvia Pilloni – Francesco Loddo
Studio “Flora batterica”: Alexandra Usai – Alessandra Orrù
Studio “Infezioni”: Erica Lai – Simona Serdino
Studio “Les da pressione”: Antonello Paddeu – Silvia Paba
Supervisione: Francesco Loddo – Anna Busia
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